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Silvana Milesi
CARAVAGGIO
«Dire di Caravaggio… è difficile… è difficile… Come si fa… Forse l’unica via per comprendere la solitaria bellezza della sua arte è l’amore e il silenzio. Quando mi sono messo in mente di dedicare a lui una grande scultura (quella attualmente nel giardino del Palazzo della Provincia di Bergamo ndr), mi sono avvolto nel silenzio, che era l’unico che io ascoltassi mentre realizzavo un’idea che da anni si andava interiormente maturando sempre accompagnata dal timore di un compiersi inadeguato. Subito ho amato Caravaggio, come un fratello, come un grande Maestro. Tutta la sua opera è di una tale complessità ch’io non posso dire quale io ami di più. Nella grandezza di tutta la sua pittura sta scritta la sua odissea che è la nostra odissea di uomini, così come le sue radici sono le nostre e non solo perché affondano nella stessa terra bergamasca. Una terra che dovrebbe provare un grande orgoglio per questo suo figlio, forse il più grande di tutti i tempi, ma forse non ancora da essa abbastanza compreso e amato (Manzù, 9 novembre 1989).
Accanto ad ogni quadro, riprodotto a colori con ricchezza di particolari, le annotazioni critiche e quegli spunti scaturiti dallo studio e dalla osservazione del dipinto, mentre la vita tormentata e tragica è raccontata nel rispetto della verità storica, con una coinvolgente partecipazione emotiva.
Incipit
Come giunto nel porto sicuro dove finalmente arrendersi e consegnare alla morte ogni tormento, si abbandonò sulla spiaggia. Solo. Sul volto sfregiato sentì l'aspra carezza della sabbia. Tremava il corpo nel delirio della febbre e delle ferite, mentre l'anima gemeva oppressa dall'addensarsi scuro di incubi accumulati negli anni. Eppure l'agonia conobbe più dolcezze dell'intera sua vita che ora si dissolveva nella natura, così come le onde andavano a dissolversi sulla riva. Il loco canto sommesso lavava e leniva il dolore dell'anima. Nell'oscurità, la luce della luna dipingeva per lui l'ultimo quadro. Forse egli lo vide e, per la prima volta, pianse. E forse ebbe quell'ultima visione che, dicono, accompagni spesso il morire, quando gli occhi, proprio nell'attimo di spegnersi per sempre, acquistano la facoltà di vedere le luci dello spirito. E forse in quella estrema visione vide il suo Michael Angelo custode spiegare accanto a lui le grandi ali, come in tante sue tele, e scrivere su fogli d'argento una vita che era sì la sua, ma che gli pareva tanto diversa da quella che gli uomini avevano scritto sui polverosi registri dei tribunali e da quella che avevano narrato con le loro ottuse, e forse non per questo cattive, parole.
Era una vita vista dal di dentro e dall'alto. E gli pareva una vita più bella. Una vita ch'era stato bello avere vissuto. Ogni tormento, ogni fatica e persino ogni peccato trovavano un loro senso. Leggendo quei fogli, Iddio avrebbe compreso, perdonato e accolto Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, pittore eccelso, mille volte in vita crocifisso e flagellato da se stesso e dagli uomini.
Era il 18 luglio del 1610, nei Presidi Toscani della Spagna di Porto Ercole.
Il suo cammino errabondo era iniziato trentanove anni prima, nell'autunno del 1571... Figlio primogenito di secondo letto di mastro Fermo Merisi, di Caravaggio, e di Lucia Aratori, venne chiamato Michelangelo.... La vicenda dei Merisi, detti Quacchiato è una vera e propria saga di matrimoni e vedovanze... di liti furibonde ... di eredità contestate e patrimoni dissipati...
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