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NOVITÀ
PAGLIARO - Arte Fede Storia
L’ARTE RIVELA L’ESSENZA DELLE COSE

Per capire gli affreschi della cappella del Cristo risorto di Pagliaro iniziamo con un’introduzione filosofica, poiché, secondo il più grande filosofo del ‘900, Martin Heidegger, non è tanto la filosofia che rivela l’essenza delle cose, quanto l’arte. Il nostro scopo è di mostrare che gli affreschi della cappella di Pagliaro rivelano l’essenza della fede cristiana.
L’arte per Heidegger, infatti, si configura come “il porsi in opera della verità”, come ciò che rivela la verità profonda di qualcosa. Heidegger illustra questa tesi portando come esempio il celebre quadro di Van Gogh raffigurante un paio di scarpe da contadina: “Nell’orifizio oscuro dall’interno logoro si palesa la fatica del cammino percorso lavorando. Nel massiccio pesantore della calzatura è concentrata la durezza del lento procedere lungo i distesi e uniformi solchi del campo, battuti dal vento ostile. Il cuoio è impregnato dell’umidore e del turgore del terreno. Sotto le suole trascorre la solitudine del sentiero campestre nella sera che cala. Per le scarpe passa il silenzioso richiamo della terra, il suo tacito dono di messi mature e il suo oscuro rifiuto nell’abbandono invernale. Dalle scarpe promana il silenzioso timore per la sicurezza del pane, la tacita gioia della sopravvivenza al bisogno, il tremore dell’annuncio della nascita, l’angoscia della prossimità della morte. Questo mezzo appartiene alla terra, e il mondo della contadina lo custodisce”.
È il quadro che ha parlato: “l’opera d’arte ci ha fatto conoscere che cosa le scarpe sono in verità”; attraverso il paio di scarpe viene evocato tutto quello che è il mondo contadino. Le scarpe sono presenti non come un prodotto fabbricato per la sua utenza, ma attraverso quella raffigurazione prende consistenza tutta una ricchezza implicita di significati; Heidegger vuole mettere in luce la capacità evocativa dell’opera d’arte, vuole mostrare tutta la virtualità di significati, virtualità che l’opera possiede proprio perché rivela il senso autentico delle cose. L’opera d’arte quindi, esibendo se stessa, esibisce anche un mondo.
Nel nostro caso è il mondo di Pagliaro alla fine del 1400: la miseria degli zoppi, dei ciechi, degli ammalati nell’episodio della liberazione dell’indemoniata, e nello stesso tempo la fede e la speranza in Cristo per la liberazione dalle loro miserie, la compassione che accompagna gli episodi della passione di Cristo, la fede nel Crocifisso e la visione del mondo cristiano da parte di una mente teologica che chiameremo, d’ora in avanti, “la mente teologica di Pagliaro”: l’Antico e il Nuovo Testamento, i profeti, gli apostoli, gli evangelisti, i dottori della Chiesa, le sante donne dei primi tempi cristiani, tutto l’universo (rappresentato dai quattro simboli dell’universo su cui poggia tutta la costruzione: aria, fuoco, acqua, terra) tendono, attraverso embrici iridati, al vertice di tutta la costruzione, all’essenza della fede cristiana: cioè il Cristo risorto...
L’arte non esprime o rispecchia un’epoca, come nel modello storicistico, ma la plasma; non è attraverso una determinata epoca che si può comprendere il senso di un’opera d’arte, ma, all’opposto, è attraverso un’opera che si può comprendere il senso di una determinata epoca. Per il nostro caso, è attraverso gli affreschi della cappella di Pagliaro che riusciamo a comprendere la vita, la fede, la religiosità e la visione del mondo cristiano della piccola comunità di Pagliaro, un piccolo borgo disperso nella Valle Serina, alla fine del 1400, un mondo che ci stupisce ancora per la profondità e la bellezza del messaggio.
Stando nelle vicinanze dell’opera d’arte noi scopriamo improvvisamente una dimensione diversa da quella in cui comunemente siamo; attraverso l’esperienza dell’arte viene alla luce il legame che noi intratteniamo con il passato e con quelli che ci hanno preceduto. Nell’opera d’arte riluce ciò che Heidegger chiama “mondo”, cioè attraverso l’opera d’arte si rende presente tutta quella ricchezza di significati che costituisce la tradizione, il mondo cui apparteniamo. In quel che l’opera d’arte esprime viene coinvolto quindi anche il nostro stesso essere, l’essere gettati nella profonda inconsapevolezza del proprio destino, della propria provenienza e della speranza del futuro; l’opera d’arte mostra in una forma incessante e quindi permanente la contesa tra il lato nascosto e quello manifesto del nostro essere uomini.
La vera esperienza dell’opera d’arte non è solamente un fatto percettivo legato al gusto; è piuttosto un fare esperienza che ci espropria della nostra dimensione quotidiana al punto da rovesciare le nostre prospettive normali; l’aspetto eccezionale dell’opera d’arte ci attrae a sé obbligandoci a trasformare il nostro essere; essa non ci lascia mai indifferenti. L’opera d’arte quindi non è un semplice strumento per intendere le cose, è piuttosto il luogo in cui le cose acquistano il proprio significato autentico. Nell’opera d’arte insomma si esprime la verità delle cose; negli affreschi di Pagliaro si esprime la verità della fede cristiana.
Ecco perché è importante conservare l’opera d’arte: ciò rende possibile a noi lo star dentro nel prodigio della verità. Non si tratta solo del problema della conservazione e della tutela di un patrimonio artistico, ma più profondamente di conservare il nostro rapporto con la verità. L’impatto con l’opera d’arte si manifesta infatti attraverso lo stupore che essa suscita in noi rivelandoci le cose come esse sono. Salvaguardare l’opera d’arte quindi significa salvaguardare il rapporto tra l’uomo e la verità. Decidendosi l’uomo per la verità, significa per lui acconsentire al dischiudersi dell’opera nel prodigio del suo manifestarsi e quindi comprenderla.
Negli affreschi di Pagliaro si manifesta la verità della fede cristiana, cioè il Cristo posto al centro della volta. Si tratta di un comprendere, in cui l’uomo conosce la propria esistenza come un fuor-uscire da sé e come un immedesimarsi con la rappresentazione artistica.
L’arte è inevitabilmente legata alla bellezza, e la bellezza è una delle forme in cui è presente la verità; la bellezza è il farsi presente della verità come quel disporsi ordinato che si concretizza nell’opera d’arte. Qui si aprirebbe tutto un discorso sulla bellezza nell’arte di cui esprimiamo solo alcuni punti. Non solo la bellezza è uno dei modi in cui si manifesta la verità, ma è anche la via principale per arrivare alla libertà, come scriveva Schiller nelle sue magistrali Lettere sull’educazione estetica dell’uomo: “è attraverso la bellezza che si perviene alla libertà”. E Dostoewskij nel suo grande romanzo L’idiota riserva alla bellezza addirittura il compito di salvare il mondo.
Utopia o non utopia, sta di fatto che Heidegger riserva proprio all’arte e alla bellezza il compito di salvare oggi l’uomo. Salvare l’uomo da che cosa? Dal perdere ciò che è la sua essenza. Heidegger fa notare con perspicacia che con lo sviluppo della tecnica oggi l’uomo sempre più viene ridotto a un “fondo di energia”. Per spiegare il concetto di “fondo” Heidegger fa l’esempio del fiume Reno; oggi il Reno non è più un fiume, quel fiume che i poeti hanno cantato; oggi il Reno è un “fondo di energia”, che serve a fornire la pressione idrica. Oggi l’uomo sta vivendo, per Heidegger, un pericolo estremo: ridotto a “fondo di energia” non è più l’essere del disvelamento, l’essere che arriva a svelare la verità. Oggi l’uomo si presenta come il “signore della terra”; tutto il mondo sembra umanizzato; si ha l’impressione che l’uomo, ovunque si rivolga, “non incontri che se stesso”; ma ciò è una pura illusione: in realtà l’uomo “non incontra più la propria essenza”, perché quel se stesso che incontra è il suo se stesso ridotto a “fondo”, non l’uomo. In questo modo oggi la tecnica mette seriamente in pericolo l’uomo; lo distoglie dal raccogliersi, dal prestare orecchio a quella che è la sua destinazione: l’essere del disvelamento. L’uomo oggi è considerato come forza lavoro, come forza impiegabile nel mondo della tecnica, come consumatore, come oggetto dei mass-media, dell’informazione organizzata, codificata dagli slogan, oggetto di internet, oggetto sfruttato dalle potenti organizzazioni di mercato.
Di fronte a questa situazione, Heidegger si chiede se non sia affidato all’arte e alla bellezza il compito di salvare oggi l’uomo, e se tale compito in particolare non sia da affidare “a quel disvelamento che governa ogni arte del bello, cioè la poesia”.
Può sembrare illusorio e forse anche ridicolo affidare all’arte e alla bellezza, cioè alle immagini creative che nascono dall’inconscio, il compito di contrastare il dominio di una tecnologia sempre più invasiva; ma la sensazione del ridicolo nasce invece proprio dall’incapacità di concepire oggi una libertà diversa da quella imposta dalla nostra tecnologia.